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24 Ott

Ribera detto lo Spagnoletto, la mostra a Capodimonte dal 23 settembre all'8 gennaio

Grande mostra dello Spagnoletto al Museo di Capodimonte ,
il caravaggista più influente del ‘600

Un ritratto dell’ artista

NAPOLI – C’era sostanzialmente un vuoto nell’opera di Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto, lo straordinario pittore iberico che legò la sua carriera e le sue fortune alla città di Napoli, diventandone l’esponente caravaggesco più influente della prima metà del Seicento. Ed era quella legata ai suoi iniziali anni in Italia, quelli giovanili, quando appena diciassettenne giunse da Valencia, per poi muoversi fra Roma, l’Emilia e Napoli, città frequentata con viaggi più occasionali, preparatori forse del matrimonio con la sedicenne Caterina, figlia dell’influente pittore siciliano Giovanni Bernardino Azzolino. Prima, cioè, del definitivo trasferimento all’ombra del Vesuvio avvenuto nel 1616. Ebbene questa mostra intitolata appunto. «Il giovane Ribera tra Roma, Parma e Napoli 1608-1624», che si inaugura oggi alle 18 al Museo di Capodimonte, nella Sala Causa (fino all’8 gennaio), e che deriva in gran parte dall’altra mostra del Prado tenutasi in primavera, intende proprio colmare questo vuoto, presentando una credibile ricostruzione di quei tre lustri con opere che dichiarano la propria appartenenza alla produzione del maestro nato a Játiva nel 1591. (E in arrivo in primavera una mostra su Artemisia Gentileschi).

Come hanno spiegato nella presentazione di ieri gli studiosi riberiani e curatori Javier Portùs e Nicola Spinosa, tale assenza si spiegava con la perdita nel tempo delle opere realizzate durante un breve soggiorno tenutosi a Parma tra il 1609,1610 e il 1611, di cui si conosce solo di un «San Martino che divide il manto con il povero», e l’attribuzione fatta da Roberto Longhi di un nutrito nucleo di dipinti ad un anonimo Maestro del Giudizio di Salomone, cosiddetto dal soggetto di una tela della Galleria Borghese a Roma, ed in cui lo storico toscano intravedeva la mano di un pittore di origine francese attivo a Roma in area caravaggesca. Partendo proprio da qui, invece, e grazie ad un articolo pubblicato nel 2002 sulla rivista «Paragone» dallo studioso Gianni Papi, il corpo della sua produzione romana (ma non solo) ha cominciato a prendere forma, recuperando al suo talento quei lavori precedentemente non attribuiti a lui. Come avrà modo di costatare lo stesso visitatore della mostra, osservando con attenzione «Il giudizio di Salomone» della Galleria Borghese, ma anche la serie degli «Apostoli» della raccolta Longhi a Firenze, il «Mendicante» della Galleria Borghese, appartenente al cardinale Scipione, la «Liberazione di San Pietro dal carcere» della stessa galleria romana, già assegnato a Pierfrancesco Mola, e, di poco posteriore, il San Pietro e San Paolo» di una collezione inglese. Per quanto riguarda le altre opere databili tra il 1614 e il 1615, si tratta di apostoli, padri della Chiesa o filosofi dell’Antichità, come l’Origene di Urbino, il Sant’Antonio Abate di Barcellona e, non esposti al Prado, il Sant’Agostino di Palermo o il Ritratto virile della Gemäldegalerie di Berlino. Verso la fine del 1615 si colloca la Negazione di san Pietro della Galleria Corsini di Roma che, già assegnata al Maestro del Giudizio di Salomone, è invece l’opera più caravaggesca realizzata a Roma. A cui si collegano il ciclo dei Sensi, dipinto fra Roma e Napoli, per un collezionista spagnolo (Pedro Cussida?) e oggi dispersa in più sedi.

Nella sezione del periodo tra Roma e Napoli, non è facile datare con precisione se appartengono al prima o dopo il definitivo trasferimento di Ribera nella capitale del Viceregno. Si collocano in questa fase opere, con filosofi, apostoli e crudeli martirî, ancora di schietta matrice naturalista e di straordinaria resa pittorica nei panneggi, negli incarnati, nei ritratti e nelle loro espressioni. Da segnalare fra le altre, il Democrito (o Geografo sorridente); il Sant’Andrea in preghiera e il Martirio di san Bartolomeo di Osuna, commissionato nel 1617, con Ribera appena trasferitosi a Napoli. Dove fra l’altro furono eseguite le ultime straordinarie opere del ciclo come la notevole Resurrezione di Lazzaro del Prado, con il grande Calvario di Osuna « dipinto verso la fine del 1618 per la moglie del viceré di Napoli » e con i due dipinti sul tema della Maddalena di Capodimonte e di collezione privata, già Chigi.
Fonte : Il Corriere del Mezzogiorno.

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